Domiciliarità

Le sempre più limitate risorse dell’assistenza pubblica, i costi insostenibili delle rette per l’ospitalità nelle strutture private e l’allungamento della vita con un invecchiamento più autonomo, tendono a far crescere il concetto di domiciliarità: usufruire, quanto più possibile, della propria abitazione.

Questa tendenza, pur avendo notevoli valenze sociali, non ha ancora preso formalmente in considerazione tutti gli aspetti personali che incidono nel benessere dell’invecchiamento domiciliare. Anche se uno studio a livello internazionale individua nel caregiver il ruolo che può avere un parente o un volontario nell’assistere “la qualità della vita” di una persona in stato di invecchiamento e che vive solo, di fatto sono talmente complesse le relazioni interpersonali che non è semplice né individuare né trasmettere le caratteristiche e le modalità di comportamento che un caregiver dovrebbe avere.

Se la famiglia è importante e quindi la migliore attenzione la si dovrebbe avere dai familiari, le indagini ci offrono un panorama di difficoltà particolari proprio nei rapporti parentali. Sono tante le ragioni per cui non è sempre facile stabilire una relazione di supporto tra figli che vivono la loro vita e genitori che invecchiano giorno dopo giorno con esigenze ben diverse. Ovviamente incidono anche molti altri problemi di carattere interpersonale, come, ad esempio, i rapporti pregressi tra genitori e figli, che fanno emergere criticità difficilmente accomodabili in situazione di crescente difficoltà. Anche quando la situazione tra familiari non ha remore, nascono spesso nuove difficoltà che acuiscono le differenze generazionali, perché i ritmi di vita sono diversi e sono diverse le priorità in campo. Senza tener conto poi di situazioni particolarmente critiche per una persona che invecchia in solitudine, quando non ci sono parenti o quelli che ci sono vivono lontano.

Ecco come il volontariato trova in questo scenario la possibilità di offrire un suo prezioso contributo. La ricerca che SEA Italia ha elaborato sulla domiciliarità e sul ruolo del caregiver, realizzata in collaborazione della Regione Piemonte, ha potuto approfondire una realtà di bisogni spesso trascurati. Sono talvolta piccole esigenze, che incidono però in modo irreversibile nello “stare bene” di chi vive solo.

Comune denominatore tra le persone che vivono in solitudine il proprio invecchiamento è l’estremo bisogno di una vicinanza emotiva. Nella gran parte delle situazioni viene richiesta una presenza, come se la sola presenza di compagnia potesse risolvere un bisogno più nascosto: l’isolamento. In realtà, chi si trova in situazione di isolamento psicologico vorrebbe continuare a sentirsi parte integrata nel nucleo sociale e familiare; al loro processo di decadenza sarebbe ben più utile un clima comunicativo sereno e sincero, che non sfoci mai nel pietismo o nel contrasto. Il “portatore di cura” (caregiver) con una coscienza e un comportamento adeguato, rappresenta la radice su cui, chi è rassegnato dalla sfiducia, ritrovi quello stimolo indispensabile per sopportare le avversità.

Anche i familiari dovrebbero aver ben chiaro il concetto che la vecchiaia non si combatte con la compassione. L’atteggiamento compassionevole quasi sempre genera nella persona in difficoltà amarezza per la difficoltà di non essere vitali come si vorrebbe. Le persone di cui ci si prende cura hanno bisogno, più di ogni altra cosa, di continuare a credere e sperare di poter vincere soprattutto su ciò che al momento pare invincibile. Essi hanno bisogno di ritrovare sicurezze senza incorrere in umiliazioni; hanno bisogno di riconquistare un’idea di autonomia nella conduzione della loro vita domestica che deve essere da loro stessi gestita secondo progressive nuove esigenze di alimentazione, di sicurezza, di cura della persona e di rapporti interpersonali.

Portare cura ad una persona che sta invecchiando è spesso un carico oneroso, che può avere conseguenze importanti da un punto di vista fisico e psicologico. In alcune situazioni i compiti dell’assistenza domiciliare possono essere troppo impegnativi o totalizzanti e questo può avere conseguenze negative sulle persone coinvolte. Per esempio, se è il figlio a prendersi cura del genitore, si corre il rischio che i ruoli si invertano. Il figlio, che ha vissuto la sua personale storia con il padre con naturali affetti e contrasti, tenterà di risolvere l’assistenza riproponendo un atteggiamento paterno/educativo. Se il caregiver è il partner, il rischio può essere quello di sacrificare il ruolo di compagno o compagna (ben più utile) con quello di assistente.

L’intervento psico-sociale quindi, deve saper valutare le risorse e i limiti di ogni individuo e del suo nucleo familiare, che va aiutato al fine di riconoscere e gestire i problemi correlati al processo di invecchiamento, naturale o legato a componenti patologiche. L’obiettivo del volontario è quello di prendersi cura della persona senza farle perdere la considerazione che ha di sé stessa, mantenendo intatta la sua dignità di individuo, perché solo così si può cercare di migliorare la qualità di una vita pesantemente minata.

Ecco che il volontario SEA rappresenta una risorsa attiva per la domiciliarità: da oltre 20 anni si occupa e si preoccupa degli anziani che vivono soli, conosce le loro difficoltà i loro bisogni, perché con loro parla abitualmente, con il contatto interpersonale attivo scalfisce la ritrosia che è frutto della riservatezza e spesso della sfiducia. Ed è attraverso lo scambio di pensieri e di parole che si disegna l’identità di ogni essere che invecchia. I rapporti si aprono e si scoprono bisogni reali che difficilmente l’anziano è disposto a confessare, perché ammetterli significa ricordare a se stesso che sta invecchiando.

Ma sono molti gli aspetti che formano lo scenario del volontario di sostegno domiciliare:

  • il controllo e la verifica di una adeguata alimentazione, con particolare attenzione alle componenti dell’alimentazione stessa: il gusto, il colore, il profumo, la consistenza, i nutrienti;
  • il controllo e la verifica della sicurezza in casa e della gestione del domicilio. Una non corretta gestione nel suo complesso può provocare incidenti che molto spesso lasciano segni irreparabili sulla salute e sulla psiche di chi già si sente inadeguato;
  • il controllo e la verifica della tipologia dei comportamenti per razionalizzare soluzioni adeguate ai problemi, alle carenze e alle specificità individuali;
  • in generale è importante non dimenticare che il benessere e la lucidità razionale del volontario è fondamentale anche per il benessere della persona che vive da sola invecchiando e lo si può garantire a partire da semplici accorgimenti.

L’esperienza dei volontari SEA è una valenza fondamentale per il futuro sociale. Un futuro già presente, che sempre più tende a consentire di invecchiare tra le cose che più si amano, che portano ricordi e che possano essere gestiti con semplicità e in a

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